mercoledì 30 maggio 2007




Darwin Pastorin: "Restituiamo il calcio ai bambini"

Darwin Pastorin, giornalista sportivo, nasce nel 1955 a San Paolo in Brasile da genitori emigranti. Per due anni lavora al Guerin Sportivo e per vent'anni a Tuttosport. Ricopre il ruolo di direttore della redazione sportiva di Tele+, di Stream TV e opera nel settore Sport di SKY Italia. Nel 2006 viene nominato direttore della testata LA7 Sport dove conduce, tra gli altri programmi, "Il gol sopra Berlino" durante i Mondiali di Calcio 2006 in Germania, e "Le partite non finiscono mai", che segue il Campionato italiano 2006/07. Editorialista de il Manifesto, Diario della settimana, Amica, collabora anche con La Stampa, Liberazione, l'Unità, Il Messaggero, Il Gazzettino di Venezia e numerosi settimanali e mensili. Per LA7.it cura ogni mercoledì l'editoriale su calcio e letteratura Darwinando. Ha vinto numerosi premi per la sua attività di cronista e scrittore. Tra i suoi libri: “Avenida del Sol. A piedi scalzi in Sudamerica”, “L'ultima parata di Moacyr Barbosa”, “Ode per Mané”, “Ti ricordi, Baggio, quel rigore?”, “Storie e miti dei mondiali” con Gianni Minà, “Le partite non finiscono mai”, “Libero gentiluomo”.

Abbiamo incontrato Darwin Pastorin alla Luiss Guido Carli di Roma, in occasione del ciclo “Incontri con i protagonisti del mondo dello sport”, dove ha illustrato agli studenti il rapporto tra sport e letteratura, tra aneddoti e citazioni letterarie (Soriano, Arpino, Saba, Pasolini, Brera, Giudici, Sereni, Cucchi).


Disponibile e gentile ha risposto alle nostre domande e ci ha lasciato con una speranza: che il calcio torni ad essere magia.

Ha scritto che “il pallone ha smarrito le proprie radici, è diventato un totem di plastica, privo di anima. Ma che qualcosa rimane”. Cosa?

Darwin Pastorin: “Rimane il gesto atletico, rimane l’inizio della partita, che ci può sempre portare ad una speranza, ad una magia. Rimangono i colpi d’autore, rimangono i sogni nostri di fanciulli che attraverso la partita recuperiamo la nostra giovinezza. Il bello del calcio è questa possibilità ogni volta di far ripetere il miracolo anche se tutto oggi è diventato difficile perché il calcio è un’altra cosa purtroppo.”

Dopo “Calciopoli” cosa è cambiato nel mondo del calcio?




D. P.: “Qualcosa è cambiato. Speriamo che dopo l’anno orribile si possa arrivare alle stagioni di una nuova felicità, di un nuovo calcio restituito ai bambini. Speriamo di poter rivedere gli stadi aperti e di poter scrivere anche per noi autori, ad esempio, di questo calcio e non solo del calcio della memoria, del passato.”

Pasolini diceva “nel calcio i goal sono dei momenti poetici. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno.” Chi è secondo lei il miglior “poeta” di tutti i tempi?

D. P.: “Io ho avuto sempre una passione per Maradona perché l’ho conosciuto. E’ un ragazzo che voglio considerare per quello che ha fatto sul campo e non per la vita privata. Ed è stato uno dei più grandi poeti del ‘900 sicuramente. E poi Garrincha che è stato uno degli idoli della mia infanzia brasiliana, “l’angelo dalle gambe storte", "l’analfabeta che parlava il linguaggio dei passerotti”, il giocatore narrato da Coutinho e Carlos Drumon de Andrade".

Nella sua rubrica on line "Darwinando" (LA7.it) ha parlato di Gianni Mura e del suo romanzo “Giallo su giallo”. Ha scritto che il giornalismo sportivo può ancora contare su maestri autentici. Chi sono i suoi maestri, questi “personaggi che non amano apparire, ma che lasciano il segno?”.

D. P.: “Sicuramente Gianni Mura è un maestro. Io poi ho avuto la fortuna di avere come maestri Giovanni Arpino e Vladimiro Caminiti. Sono maestri che mi porto nel cuore sempre.”

Tra i suoi libri ce n'è uno che la rappresenta meglio o a cui si sente più legato?

D. P.: “Io sono ovviamente affezionato a tutte le mie creature. L’ultima “Avenida del sol” sicuramente rappresenta tanto del mio percorso narrativo. Ma sono legato anche a “Lettera a mio figlio sul calcio” che è dedicata a mio figlio Santiago e parla del calcio che io amo di più.”

In "Lettera a mio figlio sul calcio" si auspicava per il futuro stadi in festa, senza più violenza, senza più intolleranza, senza più razzismo. E la sua speranza era riposta nell’ingenuità e nell’innocenza dei bambini. Crede che le prossime generazioni possano davvero cambiare le cose?

D. P.: "Il calcio è sicuramente degenerato. Bisogna cercare di ricominciare, riproponendo quei valori etici e morali che ormai sono andati perduti."

Cosa consiglierebbe ad un ragazzo che vuole intraprendere oggi la carriera di giornalista sportivo? Da dove cominciare?

D. P.: “Dal cuore! Dalla passione, dalla voglia di scrivere, di narrare, dalla voglia di camminare per raccontare. Bisogna "camminare" tanto, così insegnavano i maestri.”


(Sara Miele)